LA PAROLA AL MAGISTRATO, AZIONE PENALE OBBLIGATORIA O DISCREZIONALE

Di Daniele Colucci

Nel parlare di separazione delle carriere si è fatto cenno alla distinzione tra azione penale obbligatoria e azione penale discrezionale, che negli ultimi anni è diventata materia di dibattito politico.

L’art. 112 della Costituzione recita che “il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”, per cui il nostro sistema ha optato per il principio dell’obbligatorietà, che vincola il pm a iniziare l’azione investigativa e, se ritiene che un reato sia stato commesso, a provocare il giudizio (appunto, “l’azione penale”).

A questo sistema si contrappone, in astratto, quello della discrezionalità, vigente nei paesi di cultura anglosassone, per il quale il pubblico ministero, di fronte a un fatto che potrebbe costituire reato, ha la scelta se agire o, invece, per così dire, lasciar perdere.

Sembrerebbe scontato ritenere più corretto percorrere la strada dell’obbligatorietà, a garanzia dei principi di legalità e di uguaglianza, nonché per la salvaguardia dell’indipendenza del pubblico ministero, la discrezionalità prestandosi a trattamenti differenziati ed esponendo il pm anche a pressioni dalle quali l’obbligo di procedere lo porrebbero al riparo.

In realtà le cose sono meno scontate di quanto sembrino.

Infatti, data la mole di reati che il nostro ordinamento contempla, alcuna Procura riesce a gestire tutte le notizie criminali che le pervengono. Infatti, se si tiene conto che giustamente esistono termini di durata massima delle indagini e l’istituto della prescrizione, per il quale passato un certo tempo, senza una conclusione, il procedimento penale si estingue, il pm inevitabilmente deve fare una scelta tra i fatti da approfondire e per i quali esercitare l’azione penale e, altri, invece, da abbandonare, così determinando un’”azione penale discrezionale mascherata”, di per sé arbitraria e poco trasparente, pur al di là delle migliori intenzioni organizzative che normalmente presiedono a questa selezione. Un’azione penale discrezionale istituzionalizzata, invece, avrebbe il pregio di attuare scelte di politica criminale organiche e modellate sul singolo territorio, selezionando solo i fatti che suscitano un reale allarme sociale e tralasciando questioni ritenute non meritevoli di repressione criminale, ad esempio perché riguardano fatti privati o particolari, meglio componibili in sede civile o amministrativa.

Ma anche su questo versante non vanno sottaciute le complicazioni e le controindicazioni.

In primo luogo l’azione penale discrezionale non può che essere compatibile solo con un sistema di separazione delle carriere dei magistrati, di cui abbiamo già avuto modo di parlare, e pone il problema della legittimazione politica dell’esercizio di questa discrezionalità, non affidabile a un magistrato di carriera, per il carattere non tecnico ma, appunto, politico della scelta. Si potrebbe allora pensare di porre il pm alle dipendenze del Governo o di una Commissione parlamentare, ma i rischi per l’indipendenza appaiono evidenti. Potrebbe, allora, ipotizzarsi un Procuratore elettivo, in modo che possa attuare il programma di politica criminale per il quale venga eletto e di cui rispondere agli elettori, ma in tal caso non andrebbe sottovalutata la prospettiva di trasformare l’esercizio della giustizia in uno strumento indebito di lotta politica.